Immagine di copertina: immagine gioiosa di una giostra di un luna park con le persone sui seggiolini che si librano nello spazio.

La Festa, gioia della condivisione

Luce e Amore  Anno LXXI - N. 2 Aprile/Giugno 2021
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi

 

L’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con Dio che è amore, fedeltà, bontà, si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. 

Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. 

Papa Francesco 

 

 

SOMMARIO

◼︎EDITORIALE

- Festa, libertà e cultura della cura
di Francesco Scelzo

◼︎LA PAROLA E LA VITA

- La festa della Pasqua - Luce in mezzo alle tenebre
di don Alfonso Giorgio

◼︎InFORMAZIONE e ...

- Il patto per una nuova economia
di Maria Gaglione

- La pace è alla nostra portata e a misura del mondo
di Nadia Matarazzo

- Il viaggio del Papa in Iraq
di Angelo Scelzo

◼︎SPECIALE
Giuseppe l’uomo della presenza quotidiana.
Il santo della porta accanto, della ferialità.

- Giuseppe, amico di Dio, 
anti-protagonista per eccellenza
di don Alfonso Giorgio

- Giuseppe, una persona comune
Intervista a don Giuseppe Mattanza
di Karin Motta 

◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA

- Un manuale dell’andatura per comunità aperte e ospitali
di Maria Grazia Seva e Francesco Scelzo

◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO

Roma

Per una salute senza esclusioni e le attività del Poliambulatorio della Caritas Diocesana di Roma alla Stazione Termini
di Salvatore Geraci

Milano

Dentro una cucina per riprendersi la vita
di Cristina Carpinelli

Napoli

Una coinvolgente esperienza di periferia con i Maestri di Strada
di Caterina De Luisi

Como e Vicenza

Raduni associativi nel tempo della Pandemia

Incontro di spiritualità
di Maria Grazia Seva

◼︎COOPERAZIONE  TRA POPOLI E PROGETTI

- Fare associazione nel MAC e azioni per la cooperazione tra i popoli 
Intervista a Luigi Vieri e a Violetta De Filippo
di Antonella De Ruvo

- Un vaccino per noi
per camminare con i più poveri
di Dante Carraro

Continuare a partire … da 70 anni
di Francesca Papais

◼︎RACCONTI DAL SUD DEL MONDO
- Tra speranza e paura - La difficile vita della Scuola per Ciechi di Shashemane
al tempo della pandemia e della guerra
di suor Ashrita Mendes

- Damour in Libano  - L’azione di Oui pour la Vie
di padre Damiano Puccini

 

Editoriale

di Francesco Scelzo 

Festa, libertà e cultura della cura 

Dov’è tuo fratello?”. È la domanda che, nel racconto biblico, Dio rivolge a Caino; è la domanda per l’uomo di ogni tempo. Questa domanda è la chiave di lettura di una visione biblica fondata sulla relazione di cura; l’uomo è chiamato a rispondere dei suoi fratelli.

Nei diversi racconti della Creazione, la Bibbia, pur con diverse tonalità, riafferma questa concezione dell’uomo: Dio creò l’uomo; maschio e femmina li creò. Viene riaffermato con forza l’intima relazione tra i generi, tra l’uomo e la donna. Come nella domanda sul destino di Abele, così nella creazione dell’uomo è l’altro che costituisce l’io. L’uomo è, perciò, realtà dipendente, ha bisogno dell’altro ed esiste in relazione all’altro; è incompiuto.

Nei primi giorni di marzo è arrivato in libreria l’ultimo libro di Massimo Recalcati “Ritorno a Jean Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio” che segue a quello di fine anno “Convertire la pulsione? Sul processo di soggettivazione nell’esperienza dell’analisi”. L’autore, in modo brillante ed efficace, affronta il tema del senso dell’essere uomo dopo questi ultimi cinquant’anni; propone un ritorno a Sartre, ripensando e rielaborando il suo pensiero, che sosteneva come l’uomo nasce e si scopre dipendente dall’altro e poi, attraverso il processo di soggettivazione, diviene adulto e indipendente. Egli prova a delineare i contorni di un umanesimo adeguato ai tempi che stiamo vivendo; la stagione antiumanistica non è passata senza lasciare traccia: negli ultimi cinquant’anni l’uomo, e il soggetto in particolare, è diventato fragile e vulnerabile, ha perduto la centralità cartesiana e dell’umanesimo rinascimentale. L’umanesimo di Recalcati è incentrato sul carattere intrinsecamente incompiuto del soggetto, dell’uomo; rielabora il processo di soggettivazione di Sartre, per cui il carattere infantile dell’io, l’infanzia, diviene persistente, diviene carattere costitutivo dell’uomo. “Il soggetto non è Sovrano, non è Sostanza, non è un Ego, poiché, semplicemente, nessun soggetto può essere senza infanzia”. L’infanzia è il tempo della dipendenza dalle cure; è un tempo consegnato all’attenzione e alla sollecitudine degli altri. Questo tempo di esposizione originaria all’altro non può essere reciso perché l’uomo smetterebbe di essere un umano, rescinderebbe il legame con la comunità.

L’incompiuto, l’infanzia, la dipendenza dall’altro, la cultura della cura, il soggetto esposto all’altro nega la libertà? Il legame comunitario, la domanda biblica a Caino, come si coniugano con la libertà? Cos’è la libertà per l’uomo che non è “Sovrano”, “Sostanza”, “Ego”?

La libertà non può essere l’esercizio del dominio e l’autoaffermazione del soggetto; la libertà non può essere la realizzazione dell’imperativo etico “se vuoi, puoi”. Il razionalismo dell’età moderna, accompagnato dalle grandi rivoluzioni industriali e politiche, ci ha proposto una visione della libertà come autoaffermazione fino al ventesimo secolo in cui l’uomo sperimenta la crisi di tale visione e dagli anni ’50-’60 inizia la stagione antiumanistica.

La libertà è possibilità; è arte spirituale di governo; è potere dell’uomo; è caratteristica propria dell’umanesimo. Tale potere, tale possibilità si esercita immersi nella storia e perciò nella rete dei legami, sia nella contemporaneità sia in relazione al passato e proiettati al futuro. Una cultura della cura, che papa Francesco ripropone con forza nell’ultima Enciclica “Fratelli Tutti”, ma che è da sempre la chiave di lettura del suo pontificato, del suo umanesimo, esige una ridefinizione della libertà come possibilità e non come esercizio individuale di autoaffermazione. Solo una libertà così concepita rende comprensibile la fondamentale domanda di Dio a Caino e la relazione tra i generi e tra gli uomini come esposizione originaria all’altro, come dipendenza dall’altro e perciò incompiuto e bisognoso delle cure degli altri.

La libertà è la possibilità, il potere dell’incompiuto che perciò si apre all’altro e solo in relazione all’altro ha senso l’esistenza. La volontà non è autoaffermazione dell’io, bensì possibilità di scelta e perciò possibilità di caduta; il legame è una dinamica costituzione e ricostituzione dello stesso: un legame non è dato, è esercizio di libertà come possibilità. Ci aiuta un racconto biblico del Nuovo Testamento: la nota parabola del padre misericordioso. In verità, in primo piano vi è la relazione tra due fratelli: il prodigo è dissipatore dei beni comuni e il prudente collaboratore e attivo lavoratore e custode dei beni comuni. La frattura tra i due è costituita e ricostituita dalla vigilanza attenta del padre che coglie l’opportunità del ritorno del figlio prodigo, che ha sperperato, tutto proponendo di fare festa. Pur nel faticoso incontro tra i due fratelli, la festa, il banchetto è segno e strumento del ricostituito legame di fraternità. Come per Caino e Abele, così per i due fratelli, il prodigo e il prudente, la fraternità non è un dato, neanche per ragioni di sangue, è un legame da costituire e ricostituire in virtù della responsabilità che segue al fatto che un fratello è fratello solo in relazione all’altro; è un incompiuto senza l’altro.

Solo l’incontro, l’aprirsi all’altro, l’andare verso l’altro definisce l’uomo nel suo carattere infantile dell’io che diviene persistente, diviene carattere costitutivo dell’uomo. La relazione di cura è costitutiva per l’uomo, benché a motivo della libertà è realtà che va costituita e ricostituita attraverso la festa, attraverso l’incontro che si fa festa. La Pasqua, sia nell’antica alleanza sia quella di Gesù Risorto, è archetipo del fare festa, della gioia che esprime e afferma la relazione di cura dell’uno per l’altro, l’incontro, il legame, anche nella forma più alta tra umano e divino come tra umani.

La Parola e la vita

La festa della Pasqua - Luce in mezzo alle tenebre

di don Alfonso Giorgio

Si può fare festa? Si può concepire la Pasqua come un’occasione per vivere la festa?

Nei tempi difficili che viviamo, davvero la festa di Pasqua può essere considerata qualcosa di essenziale per la vita di una persona o di una comunità? Non avremmo cose più serie a cui pensare?

Ce lo sentiamo ripetere più volte e da più fonti: “il Covid19 ci ha riportati all’essenziale”. E chi può negarlo? Quando ti manca l’aria per respirare come fai a pensare alla festa? La risposta, al di là di ogni considerazione, rimane determinante per noi. Anzi, in fondo in fondo, diventa proprio il motivo per cui viviamo, perché la festa è nel cuore della vita. Se non siamo felici, se non stiamo bene con noi stessi e con gli altri, se non gioiamo anche per le piccole cose che ci capitano, a che serve vivere? Allora la domanda potrebbe essere capovolta: si può vivere la Pasqua senza fare festa? Si può vivere senza festa? È proprio dai nostri vissuti che viene la risposta. Il senso della festa e il desiderio di viverla accompagnano l’esistenza di ogni persona. Abbiamo bisogno di fare festa. Ogni persona ha bisogno di esaltare le proprie potenzialità e risorse. È una necessità psicologica, sapienziale, sociologica e spirituale insita nelle dinamiche della vita quotidiana che spinge ognuno ad uscire da un rituale ordinario-lavorativo per esaltare il senso dell’appartenenza alla comunità e aprirsi in maniera nuova all’esperienza di Dio e del sacro.

Fare festa a Pasqua significa accendere una speranza e richiamare alla mente un evento positivo della nostra cultura, della nostra Fede. Significa vivere un’esperienza a nostro favore, in maniera periodica, collettiva, sacrale, ludica. Ne abbiamo bisogno. Soprattutto ora. Abbiamo bisogno di credere nella promessa di una luce di vita nuova in mezzo a tante tenebre di morte.

Questa situazione generale di allerta sulla nostra salute, che si sta prolungando oltre ogni previsione, ci sta confermando che davvero non si può vivere senza festa. Ci accorgiamo, infatti, che una vita caratterizzata solo da dolore, morte e tristezza non è vita e che il desiderio di abbandonare la tristezza di questo momento è sempre più incombente. La nostra vita allora si proietta in avanti a contemplare il “sepolcro vuoto”, perché quel sepolcro che in Cristo ha accolto la morte diventa il luogo dove la vita vince sulla morte e inonda di gioia pasquale il mondo intero. Da lì, da quel giardino cimiteriale di Gerusalemme, dal putridume delle tombe è scaturita la gioia viva e vivificante della Pasqua, la sorpresa di Dio che sempre volge il male in bene, asciuga le lacrime di chi soffre e trasforma anche la realtà più triste in una occasione di crescita e rinvigorimento della gioia di vivere.

Alla luce della Pasqua, quest’anno, al contrario di quello che si possa pensare, il cuore è pieno di speranza e di gioia perché sappiamo già che Gesù ha vinto la morte e che anche la stessa morte, in Lui, diventa inizio di una vita nuova e gioiosa nel Suo Santo nome. Il sepolcro vuoto, nel giorno di Pasqua, dischiude un percorso nuovo che ci proietta in avanti, in un futuro che può già cominciare ad attuarsi nei nostri cuori. La festa, allora, assume il carattere dell’intimità della speranza e della condivisione, per cui anche l’impegno di sostenere i più deboli e sofferenti tra noi può diventare un motivo di gioia pasquale. La solidarietà in tempo di Covid diventa festa del cuore, perché solo i cuori generosi che escono dal circuito dei propri interessi personali fanno veramente festa e vivono la gioia della Pasqua.

Qualcuno potrebbe obiettare: “La croce è ancora presente. Anzi, ci sono molti crocifissi dal Covid e da tanti altri drammi: guerre, ingiustizie sociali, povertà, ecc.”. La risposta viene sempre dal Vangelo: Gesù ha vinto la morte! “Il Vangelo – come afferma papa Francesco - è festa, è gioia, è libertà. Il Vangelo è novità! Il Vangelo è festa! E soltanto si può vivere pienamente il Vangelo in un cuore gioioso e in un cuore rinnovato” (omelia del 5/09/2014).

Non possiamo fare a meno della festa perché è una necessità. Tutti abbiano bisogno di sapere che si può andare oltre. “Pasqua”, infatti vuol dire, nell’etimo originale, “pesah”: “passaggio”, “andare oltre”, “fare un salto” (Cfr. Esodo 12, 26-27). Mentre intorno a noi cogliamo segni di morte e di decadimento della vita sociale ed economica, la Pasqua di Cristo ci ricorda che l’uomo può “risorgere”, raggiungere la gioia e la pienezza di vita solo se esce da sé per andare incontro a chi soffre. È una convinzione di John Stuart Mill (cfr. J. S. Mill, Principi di economia politica, Londra 1848), un laico, uno dei fondatori del pensiero economico. Quanto è vera questa affermazione e soprattutto per noi credenti! È proprio vero, con Gesù Risorto, pur mostrando le nostre ferite come fa Lui, che non nasconde la sofferenza e la morte, possiamo andare oltre, proprio quando ci prodighiamo per gli altri e con un cuore in festa.

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