“Alla ricerca di vie per autonomie possibili”
Luce e Amore Anno LXXIII - N. 3 Luglio/Settembre 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi
Ogni uomo deve decidere se camminerà
nella luce dell’altruismo creativo
o nel buio dell’egoismo distruttivo.
La più insistente ed urgente domanda
della vita è:
“Che cosa fate voi per gli altri?”
partecipati equamente a tutti,
avendo come guida la giustizia e come compagna di strada la carità»
Martin Luther King
SOMMARIO
◼︎EDITORIALE
- Singoli ospitali o individui?
Persone con disabilità e comunità tra modello sociale e modello medico-sanitario .
di Francesco Scelzo
◼︎LA PAROLA E LA VITA
- Accogliere in Cristo ogni persona e ogni fragilità.
di don Alfonso Giorgio
◼︎SPECIALE - Il progetto autonomie possibili
I dati e alcune esperienze significative
- Contenuti, obiettivi, metodi e numeri del progetto
di Carmela Sica
- In Campania e in Basilicata un punto di riferimento per l’orientamento pedagogico e per la promozione sociale
di Carmela Sica
- La scuola si apre a Gabriele
di Caterina De Luisi
- In Puglia i percorsi di socializzazione per adulti con disabilità grave
di Annarita Gentile
- Nel Lazio una sperimentazione di inclusione sociale
di Annamaria Canonico
- Il progetto Autonomie Possibili in Sicilia
di Antonino Amore e Martina Cannata
- Criticità nella vita adulta e dinamiche familiari nelle attività della Liguria
di Luca Raspi
- Dalla Liguria una testimonianza e un grande interrogativo
di Dania Iula
-In Lombardia interessante esperienza in prospettiva
di Eugenio Tomasoni e Antonio Pellizzaro
- Una interessante scoperta per Miriam nelle iniziative progettuali della Toscana
di Antonella De Ruvo
- In Emilia Romagna un viaggio emozionante e articolato
di Sebastiano Presti
- Emozioni speranze e valutazioni
di Antonella e Daniele Epifani
-Stage per l’autonomia personale nelle Marche
di Nella Rapaccini e Giulia Pagoni
-La tecnica del modellaggio nei laboratori per persone con disabilità in Friuli
di Erica Fasano
◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina
-Un sorprendente viaggio tra mondi complessi e affascinanti
di Vincenzo Lasala
◼︎PROMOZIONE SOCIALE IN ITALIA
-Parrocchie e persone con disabilità
Un convegno del Servizio Nazionale per le Persone con Disabilità
di Katiuscia Betti
-Inclusione in classe e servizi di pedagogia territoriale
di Carmela Sica
◼︎RACCONTI DAL TERRITORIO
-Varese – Il gruppo incontra il Vescovo di Antonio Pellizzaro
-Udine – L’incontro del gruppo MAC, una testimonianza
-Caltanissetta – Consegnato il premio don Brugnani di Giuseppe Manzella
-Macerata – Ricordata Annamaria Pansoni di Giovanni Marresi
-Lombardia – I gruppi si incontrano per la giornata di spiritualità di Margherita Merlini
-Trieste – Consegnato il premio don Brugnani di Gianluigi Ugo
- Liguria – Una giornata di condivisione dei gruppi
-Sicilia – Meeting di formazione per i gruppi di Giovanni La Spisa e Chiarina Corallo
Editoriale
di Francesco Scelzo
Singoli ospitali o individui?
Persone con disabilità e comunità tra modello sociale e modello medico-sanitario
La stagione della ricostruzione, dopo la seconda Grande Guerra, ha coinciso con una vivace stagione di fermento, oltre che economico, anche culturale che ha preso le mosse da due eventi significativi: il Concilio Vaticano II e il Sessantotto. Entrambi sono il punto di arrivo e di partenza di un movimento di comunità; entrambi sono all’origine di un cambiamento che coinvolge le relazioni comunitarie. Negli anni ’60 e ’70, tuttavia, inizia un processo di frammentazione delle relazioni comunitarie fino ad arrivare, negli ultimi anni del secolo scorso e nei primi del terzo millennio, alla cosiddetta “società liquida”, dei legami deboli. La stagione delle grandi associazioni popolari, dei partiti e dei sindacati, rinvigorita e rilanciata dopo la guerra, lentamente si affievolisce e tutte le forme associative e i legami strutturati perdono sempre più di significato cedendo il passo a un crescente individualismo, che spesso diventa soggettivismo relativistico se non narcisismo. I principi fondanti la Costituzione Italiana, che nel personalismo avevano trovato la fonte ispiratrice come sintesi del socialismo e del cattolicesimo democratico nonché, anche in qualche modo, del liberalismo, sembrano indebolirsi per cedere il passo a valori derivanti da una visione antropologica non più comunitaria bensì individualistica.
L’antropologia, la concezione dell’uomo, non è irrilevante anche nell’approccio alla disabilità. Gli anni ’70, ’80 e ’90 sono gli anni della stagione del modello sociale. Le persone con disabilità vengono coinvolte nel movimento delle relazioni comunitarie, per cui si vive la grande stagione della deistituzionalizzazione e della diffusione di una cultura dell’inclusione, della domiciliarità, della esigibilità dei diritti anche per le persone con disabilità, anche in situazione di gravità elevata o di complessità. In questi anni anche la Chiesa vive la stagione del modello sociale: gli orientamenti pastorali per questi tre decenni sono caratterizzati da una forte attenzione alla promozione umana, negli anni ’70, alla scelta preferenziale dei poveri, negli anni ’80, e alla testimonianza della carità, negli anni ’90. Entrambi i percorsi, quello della società nei confronti delle persone con disabilità e quello della Chiesa nei confronti dell’uomo, sono stati ispirati dalla concezione di un uomo singolo e in relazione con la comunità, autonomo e reciproco, incompiuto e chiamato alla libertà, protagonista responsabile della storia e, tuttavia, segnato dalla finitudine, dalla fragilità. Mentre la Chiesa ancora oggi, e soprattutto con il Magistero di papa Francesco, ripropone con forza il modello sociale, e non potrebbe essere diversamente, la comunità degli uomini si è fortemente avviata verso la costruzione di un modello caratterizzato dalla "separazione", dalla parcellizzazione, da una sorta di "monadismo" dell'individuo o anche di gruppi sociali, non escluse le persone con disabilità. Il bene comune e i beni comuni sono sempre meno obiettivi delle nostre città e della nostra politica.
Quale uomo può essere protagonista di inclusività? Quale uomo sposa il modello sociale piuttosto che il modello medico-sanitario?
Le tecniche e i metodi dei servizi alle persone, bambini, anziani, persone con disabilità, ammalati, rispondono necessariamente a una concezione dell’uomo. Se l’uomo viene colto come persona in relazione, come singolo incluso nella comunità, i servizi alle persone tutte e, in particolare, alle persone in situazioni di fragilità, alle persone con disabilità, saranno servizi aperti e volti a modificare le relazioni comunitarie per migliorare la capacità di vita dei beneficiari; se, al contrario, l’uomo viene colto come individuo, come nucleo, come monade, i servizi alla persona si caratterizzano per la separazione, la “recinzione”, la protezione volti a migliorare capacità e qualità di vita dell’individuo, con la convinzione che queste si caratterizzano solo come “indipendenza” e, perciò, senza legami che rendono la persona dipendente da altri. In questa logica sono nate le grandi istituzioni per disabili e per anziani; in questa logica si è fatto strada il modello medico-sanitario, per cui la “terapia” è la soluzione per migliorare capacità E qualità di vita di una persona; in questa logica, negli ultimi anni, ha ripreso vigore nei servizi alle persone con disabilità il modello medico-sanitario.ciò vale per tutti e ancor più per le persone in situazione di fragilità o di svantaggio.
L'uomo, nella visione antropologica biblica e cristiana, è colto come soggetto di "reciprocità e autonomia"; nei testi di Padri della chiesa ricorre il termine greco ellenistico, per definire l'uomo, "autoexusios", letteralmente "auto potente", che trova cioè in se stesso l'energia e la ragione del suo potere, della sua capacità di modificare l'ambiente in cui vive. È una realtà in relazione dinamica, reciproca ed autonoma, con se stesso, con gli altri, con il creato e anche con Dio. Anche nel pensiero greco classico l’uomo viene definito da Aristotele “animale politico”, cioè comunità organizzata, e ciò vale per gran parte del pensiero filosofico classico e medievale. L’approccio antropologico del nostro tempo si va sempre più allontanando da questa visione antropologica optando per un uomo biomeccanico, un meccanismo che risponde a principi di funzionamento, per cui tecniche e metodi dei servizi all’uomo devono aver cura del buon funzionamento.
La fede dei credenti in Gesù Cristo è intimamente connessa con le opere, per cui essere credenti, cristiani, chiede di essere liberi e responsabili di costruire relazioni dinamiche di reciprocità e di autonomia per ogni uomo, come singolo e come comunità. Chi ha Fede vive il desiderio di vita, di amore e di gioia solo come condivisione, come solidarietà nella reciprocità, come comunità degli uomini.
LA PAROLA E LA VITA
Accogliere in Cristo ogni persona e ogni fragilità.
di don Alfonso Giorgio
Se la vita umana viene al mondo come un grido, una sorta di invocazione di aiuto, perchè sin dalla nascita vi è un’apertura verso l’Altro anche se non ancora decodificata dalla persona come bisogno di credere e affidarsi. Questo significa che abbiamo bisogno dell’altro e di Colui che è totalmente Altro, per quella inequivocabile necessità di essere accuditi, accolti e di accudire e accogliere a sua volta.
Se in una relazione sono importante io, non di meno lo deve essere anche l’altro, altrimenti non ci sarà mai vero rapporto; ciò è ancora più vero sul piano della Fede in cui la relazione è tra me e Dio. Ciascuno di noi la vive in modo irripetibile anche se Gesù ci ha offerto gli strumenti per viverla con autenticità e ci ha detto che la Via per incontrare il Padre e vivere la Fede in pienezza è solo Lui.
Dopo quel “grido” iniziale emesso da tutti alla nascita, pian piano, tra un’esperienza di vita e l’altra, prima o poi, ci accorgiamo che Dio è necessario all’uomo: non può essere facoltativo, accessorio. Forse una certa pastorale del passato ha creato più terrore che consolazione: «Siate buoni cristiani, in caso contrario finite all’inferno …!» Non può essere certamente questo il Dio necessario perché, in realtà, Dio è Colui che dà senso e pienezza al nostro umano: questo è il Dio di cui non possiamo fare a meno, un Padre che ci accoglie e vuole essere accolto e riconosciuto.
“Lo avete fatto a me” (Mt 25, 40) ci ricorda Gesù, proprio per dirci che Lui è sempre in mezzo a noi e vorrebbe essere accolto. Nella vita di ogni giorno abbiamo tante occasioni per riconoscere la Sua presenza e accoglierLo, ma la più certa è tra i piccoli, i più fragili e i più poveri nei quali Egli, addirittura, si identifica: “Ero straniero e mi avete accolto, ero assetato e mi avete dato da bere, ero ammalato e mi avete visitato”. Nonostante la connaturale spinta ad accogliere gli altri nella nostra vita, permane sempre in maniera antinomica e contradditoria, dentro noi, anche la tentazione di vedere l’altro come uno “straniero”, un ostile. Infatti, lo straniero non è solo chi abita oltre la frontiera, diverso da me per cultura, colore della pelle, ecc. Tutto ciò che è altro da noi può essere visto come una minaccia da cui difendersi, tanto da indurre ad evitarlo per non rischiare di essere privati dei propri spazi e della propria libertà, perché “nulla teme l’uomo di più che essere toccato dall’ignoto... Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo” (E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, 17).
La Fede in Gesù Cristo risorto dai morti se vissuta in pienezza ci rende capaci di accogliere con una certa serenità anche la sofferenza perché tutta la storia umana si “riassume nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione, ricevuto nel Battesimo. Infatti, con l’immersione nell’acqua ognuno ècome se fosse morto e sepolto con Cristo, mentre, quando riemerge da essa, manifesta la vita nuova nello Spirito Santo. Questa condizione di rinascita coinvolge l’intera esistenza, in ogni suo aspetto: anche la malattia, la sofferenza e la morte sono inserite in Cristo, e trovano in Lui il loro senso ultimo” (Francesco, Giubileo degli ammalati e disabili, 12 giugno 2016).
La persona con disabilità come accoglie? Come viene accolta?
Ogni genitore spera e aspetta che il proprio bambino sia sano, bello, forte e pieno di vita e sognano per lui un futuro sereno e meraviglioso. Nel momento in cui, però, si arriva alla conoscenza della disabilità del proprio bambino, le precedenti aspirazioni vengono messe in crisi e, oltre alle reazioni emotive immediate, bisogna affrontare difficoltà di natura sanitaria e sociale. È come se fossero atterrati in un aeroporto diverso da quello programmato. In un certo senso è come se si fossero imbattuti - almeno nella fase iniziale - in quello “straniero”, quasi ostile, di cui sopra.
Avere un figlio con una disabilità segna significativamente l’identità del genitore e il processo psicologico che porta dalla crisi iniziale all’accettazione della disabilità risulta complesso. Non è il caso qui di approfondire, occorrerebbe molto spazio, però si può affermare che un’accoglienza nella Fede può aiutare la famiglia ad andare oltre le problematiche riscontrate, soprattutto se questo processo difficile di accettazione viene maturato con la comunità ecclesiale e con adeguato supporto sanitario, psicologico, sociale e spirituale.
La comunità cristiana, se pure con molti limiti, sta prendendo consapevolezza della necessità di confrontarsi con le fragilità. Del resto, si tratta di realtà che ci fanno interrogare sul senso dell’esistenza. Papa Francesco ha messo in guardia contro due atteggiamenti: quello cinico «come se tutto si potesse risolvere subendo o contando solo sulle proprie forze», o quello che confida soltanto nella scienza «pensando che certamente in qualche parte del mondo esiste una medicina in grado di guarire la malattia» (Francesco, Giubileo degli ammalati e disabili, 12 giugno 2016). Tutta la comunità, allora deve accogliere. Una comunità che non accogliesse - ha dichiarato il papa - è bene che chiuda definitivamente, perché è nella natura della Chiesa schierarsi con i più fragili e accogliere tutti. È la Fede in Cristo che ci invita ad amare l' altro, chiunque esso sia e in qualunque situazione personale si ritrovi. È l’amore per Cristo che ci spinge.
Questo amore grande per Cristo, poi, deve renderci capaci di “prendere la croce” – così come ci ricorda Gesù stesso - ma chiediamoci: cosa vuole dirci con questo? Che dobbiamo soccombere sotto il peso della croce? Che dobbiamo soffrire e basta? La croce, qui, è da intendere soprattutto come quella capacità di continuare ad amare anche quando è difficile amare. Si tratta di fare la scelta di continuare ad amare anche quando questo diventa impossibile, diventa esigente sia per chi soffre o si ritrova in una condizione di fragilità sia per chi è chiamato a relazionarsi con lui. In questa modalità di amare ci si può trovare in condizioni o in circostanze in cui diventa difficile davvero persistere, ma il credente non perde mai la consapevolezza di essere amato da Dio, sempre. Comprendiamo che la croce di cui ci parla Gesù, poi, non è altro che la manifestazione dell’amore eterno di Dio in Gesù Cristo, così come ci ricorda don Tonino Bello: “la croce è manifestazione, Epifania”, l’Epifania più alta dell’Amore di Dio per noi, che ha mandato suo Figlio sulla croce perché ci togliesse tutti i peccati e ci rendesse puri nel cuore.
Tutti noi possiamo amare con le nostre croci e raggiungere l’altezza dell’amore di Dio con la nostra croce. Possiamo rendere più pura l’umanità e più buono questo mondo con la nostra vita, con il nostro esempio, amando di più, amando gli altri, soprattutto i più fragili e quelli che hanno croci ben più pesanti, nel nome di Gesù e come Gesù stesso ci ama. Tra l’altro, nell’amare gli altri siamo certi di amare di più Gesù Cristo in ogni altra persona, in ogni altra creatura.