“Accoglienza è relazione”
Luce e Amore Anno LXXIII - N. 2 Aprile/Giugno 2023
Pubblicazione trimestrale del Movimento Apostolico Ciechi
«i beni creati debbono essere
partecipati equamente a tutti,
avendo come guida la giustizia e
come compagna di strada la carità»
[Gaudium et spes, n.69]
SOMMARIO
◼︎EDITORIALE
- Fare spazio all’altro nella propria casa e nel proprio tempo.
di Francesco Scelzo
◼︎LA PAROLA E LA VITA
- L’ospitalità vera. Accogliere le “pietre di scarto.
di don Alfonso Giorgio
◼︎Pagina dopo Pagina – Libri in vetrina
- L’inclusione del bambino con disabilità complesse in classe.
Manuale praticissimo per docenti, educatori e familiari.
Un libro per imparare a regolare le vele
di Alfonso Tortora
- A sua immagine? Figli di Dio con disabilità.
di Katiuscia Betti
◼︎SPECIALE - Deistituzionalizzazione e inclusività:
questione aperta per le persone con disabilità grave
- Fattori, regole e criteri per creare buone pratiche
- Spingendo la vita più in là …
Riflessioni intorno ad uno specialista in cerca di senso
di Mauro Mario Coppa
- I bisogni e le attese di una famiglia in presenza della disabilità complessa
di Domenico Vaccaro
- I vincoli della reciprocità
di Francesco Scelzo
- Quali organizzazioni di servizio per favorire
l’inclusione e superare l’istituzionalizzazione
di Mario Narni Mancinelli
- Scenari territoriali e servizi per persone con disabilità e non autosufficienti
di Ciro Pizzo
- Il “pendolo” dell’inclusività
di Francesco Censon
- Un sogno ambizioso: l’inclusione sociale nell’età adulta.
intervista di Francesco Scelzo e Caterina De Luisi
a Annamaria Canonico e Giancarlo Cursi
- Tra il bisogno di sentirsi parte della comunità
e il desiderio di risposte da parte dello Stato
di Caterina De Luisi
Editoriale
di Francesco Scelzo
Fare spazio all’altro nella propria casa e nel proprio tempo
“…Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi. La carità è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto”. Sono queste le parole, efficacissime, che leggiamo al numero 39 di “Evangelizzazione e testimonianza della carità – Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per gli anni novanta”; sono parole che andrebbero scritte sulla pietra. Quando si parla o si scrive di inclusione, cosa ci dicono queste parole? Quando si parla e si scrive di solidarietà, di condivisione, di reciprocità, queste parole ci interpellano, trovano spazio? Rimuovere le cause che non facilitano l’inclusione in classe, in parrocchia, nella comunità, di persone che vivono condizioni particolari di vita, per ragioni fisiche come le persone con disabilità, per ragioni sociali come i migranti o i poveri, o per altre ragioni come i carcerati o i disadattati, può ridursi a un gesto?
L’inclusione che coinvolge la persona umana esige una dinamica relazione a contenuto di elevata significatività sociale, esige l’ospitalità, l’aprire la porta di “casa”. Nell’antichità l’ospitalità era considerata, come comunemente si dice, sacra, aveva cioè un significato profondo, era un vincolo; era un vero e proprio patto, una alleanza. Il patto viene sottoscritto e concordato in un testo, viene espresso con dei simboli che rinviano al significato della relazione ospitale. Lo stesso termine “simbolo”, che deriva dal verbo greco synballein che sta per “porre insieme”, “collegare”, “mettere insieme”, evoca un legame significativo; la croce per i cristiani, e per tutti, è un simbolo che evoca un legame di fraternità e di relazioni verticali e orizzontali; tutti i simboli rinviano a un significato. Lo stesso Credo, che raccoglie i contenuti essenziali di fede della comunità cristiana, viene definito simbolo, e quello dell’età degli Apostoli, simbolo apostolico.
“Coinvolgere e costruire legami” nelle relazioni umane ci chiede di essere ospitali, “è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi”.
Il coinvolgere e il costruire sono azioni proprie dell’uomo libero e forte, protagonista della storia; la persona umana, pertanto, sia come singolo che come comunità, è chiamata a costituire vincoli e patti di ospitalità con gli altri in famiglia, a scuola, in parrocchia, nel quartiere, nella città. I cittadini protagonisti della vita pubblica sono chiamati a organizzare lo Stato e, perciò, a promuovere leggi ispirate all’ospitalità. Solo comunità ospitali e città aperte e ospitali saranno contesti inclusivi per tutti e, perciò, anche per i migranti, i poveri e per le persone con disabilità lievi, gravi, gravissime.
“Costruire contesti inclusivi” significa coinvolgere e costruire legami e ciò anche in presenza della disabilità complessa o disabilità molto grave.
L’inclusione di una persona disabile non si può risolvere nella eliminazione delle barriere architettoniche, degli ostacoli fisici o del superamento degli ostacoli di comunicazione, che pure sono premessa necessaria, ma richiede azioni di elevata significatività sociale che coinvolgano la persona con disabilità e la includano in un contesto di legami significativi. L’inclusività va perseguita, in primo luogo, in famiglia prima che nelle altre realtà, ma ciò è possibile in un nuovo Umanesimo da riscoprire, così come si è proposta la Chiesa Italiana nel Convegno di Firenze del 2015.
Solo l’uomo “a Sua immagine”, a immagine di Dio, dando a questa espressione un valore meramente antropologico e riconoscendo cioè all’uomo la sua capacità e vocazione a concorrere alla costruzione e allo sviluppo della storia, può coinvolgere e costruire legami in virtù dell’energia interiore, spirituale; solo l’uomo capace di “ego cum”, che si coglie cioè in dinamica relazione solidale con l’intera umanità, che si definisce non come individuo ma come singolo di una comunità e parte di essa, è uomo capace di libertà e non è definibile come cieca necessità e va oltre l’“ego sum”, criterio fondante l’antropologia della modernità e dell’Umanesimo del nostro tempo. Costruire contesti inclusivi è il destino dell’uomo, immerso nella storia e dinamicamente e liberamente in relazione con l’intera comunità degli uomini.
LA PAROLA E LA VITA
L’ospitalità vera. Accogliere le “pietre di scarto.
di don Alfonso Giorgio
Il rapporto annuale sulla “Giornata del dono”, istituita nel 2015, mentre registra alcune battute di arresto circa il circuito di donazioni da parte di enti, organizzazioni pubbliche, e altri, in maniera inversamente proporzionale evidenzia nel 2022 segnali positivi circa le organizzazioni non profit, nonostante l’instabilità socio-economica dovuta prevalentemente alla pregressa situazione pandemica e alle incertezze geo-politiche connesse alla guerra in Ucraina. L’indagine, curata dall’Istituto Italiano della Donazione sull’andamento delle raccolte fondi, registra infatti un incremento del 12% rispetto al 2020; si tratta di un aumento di tre punti percentuali circa la quota delle donazioni da parte di coloro che hanno effettuato almeno una donazione non formale, cioè non agganciata a enti non-profit: cresce dal 33% al 36%. I dati raccolti dall’Istat confermano che, nonostante la continua diffusione di una cultura individualista, il cuore dell’uomo rimane ancora aperto al dono. Cosa significa donare? Perché doniamo? Cosa vuol dire dono? Alcuni sostengono che donum derivi dalla radice ittita “deh”, che significa “accettare”, in greco didomi, “dare”; donum è, quindi, “l’oggetto che si dona”. Dono significa, dunque, semplicemente dare, dare gratuitamente: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza una automatica reciprocità; non c’è dono autentico senza gratuità. Se andiamo alla radice del messaggio cristiano, l’essenza stessa del Vangelo sta nell’annuncio non solo di un amore che vince la morte, ma anche di un amore che è gratuito, chiamato per questo “grazia”. La grazia – chen in ebraico, cháris in greco, gratia in latino – è benevolenza, amore, favore non necessariamente meritato, un amore preveniente che Dio riversa gratuitamente, misterioso, impensabile da un punto di vista umano. Si tratta di un amore gratuito che ci raggiunge, anche se ci trovassimo in una condizione di diniego della Fede, ancor prima che facciamo qualcosa per meritarlo: qui sta la radice di ogni dono; i doni che possiamo fare, o essere gli uni per gli altri, si radicano proprio nella Grazia di Dio che è gratis. In una società come la nostra, fondata sull’utile sia da un punto di vista economico che da un punto di vista dell’efficienza o del rendimento delle strutture e ancor più delle persone, il dono si fa ancora strada: tutto ciò che vale veramente non si può comprare, lo si può solo ricevere in dono. Non posso comprare l’amore di una persona; non ha prezzo. Tutte le volte che una persona compra qualcosa che fa bene alla vita, ma non può essere prezzata, inevitabilmente cade nella frustrazione e nello sconforto. La gratuità, infatti, è sganciata dalla logica commerciale per la quale tutto ciò che è in-utile – come potrebbe essere pensato di una persona inchiodata su una carrozzina, di un bambino che assorbe solo tempo senza profitti, di un disagiato, di un vecchio- non porta utile e quindi non rientra in questa dinamica efficientista e arricchente su un piano economico-sociale. Se però consideriamo attentamente il senso stesso della parola “inutile”, ci accorgiamo che non deve essere considerata solo da un punto di vista negativo. L’enciclopedia Treccani parla di inutilis (dal latino), cioè qualcosa che non da vantaggio, senza utile, per cui potremmo dire “senza un ritorno economico”. Il dono è propriamente senza un ritorno economico, è “inutilis”, senza vantaggio; il dono non avrebbe motivo di essere per una società fondata sull’utile proprio perché per essa non conseguirebbe un vantaggio economico. In questa società, infatti, ai volontari o ai donatori spesso si indirizzano, come ritornello, come una sveglia, espressioni quali “chi te lo fa fare?” o “che vantaggio ne trai?”; in effetti, è così, non vi è nessun vantaggio perché il dono non ha prezzo. Circa il “chi” si può sempre dare una risposta, anche se ognuno parte da quelle che sono le proprie convinzioni personali. È chiaro che per i credenti il “Chi” deve avere una lettera maiuscola; per i cristiani è Gesù che ispira il dono, giacché Egli stesso si è fatto dono per noi attraverso quell’“admirabile commercium”, come ricordiamo frequentemente nella Liturgia, prendendo la nostra povertà e offrendoci la Sua ricchezza, ha preso la nostra morte e ci ha dato la Sua vita con la Sua Resurrezione dai morti, ha preso il nostro dolore e ci ha dato la sua gioia. Questo admirabile commercium, questo grande Mistero ci fa comprendere che il grande dono per noi è Dio stesso; è Lui stesso il dono. La grazia, che è salvezza, è, prima di essere qualcosa di Dio - spesso immaginiamo la grazia come un fluido divino che viene in noi mentre Dio rimane intatto nel cielo - proprio il Dio vivente che entra nella vita dell’uomo (Cfr. M. Magrassi, Maria stella su nostro cammino, Ediz. La Scala, Noci 1996, pag. 63). Noi cosa possiamo fare dinanzi a questo grande dono se non accoglierlo? In estrema sintesi cosa possiamo dire dell’uomo? Quale deve essere il suo cammino in questo mondo? Prima ancora di parlare di cammino dell’uomo, è bene pensare che vi è il cammino di Dio che viene incontro a noi; è Dio che si rende presente nella vita degli uomini, Lui che si è fatto dono ai poveri, ci invita particolarmente a riconoscerLo in loro: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito” (Mt 25). All’uomo spetta di scegliere di intraprendere questo cammino. Dio ci invita al dono, a donare ma, ancor più, ad essere dono gli uni per gli altri poiché non c’è nessuno che possa affermare: “io non ho nulla da dare”. Il cammino dell’uomo, di ogni creatura umana si caratterizza per l’accoglienza di questo dono. Se ci pensiamo attentamente, l’uomo è essenzialmente accoglienza del dono. Una persona sola con se stessa, chiusa nei propri affari e nelle proprie convinzioni, non realizza l’essere dell’uomo, non vive. Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore che è vita, che è donare la vita. Vivere indifferenti davanti al dolore dell’altro, davanti al dono che è l’altro non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita” (Cfr. Francesco, Fratelli tutti, n. 68). Gesù risorgendo dai morti ci dona una vita nuova e nutre in noi una nuova speranza: in questa vita siamo felici solo quando accogliamo il dono, doniamo e diventiamo anche noi, come il Risorto, dono di vita per gli altri.